20 giugno 2023

Quando ho paparazzato Berlusconi e la foto è finita da Fazio

21/01/2014

mi chiama F.V. : "Cosimo sai nulla di Berlusconi??" - "Ieri è stato finalmente condannato per frode fiscale, perchè??" - "Senti è molto probabile che sia a Gardone Riviera, alla Maison du Relax, oggi c'è stato il viavai di auto nere, non so altro, magari è una stronzata o magari fai uno scoop, vedi te!"
Prendo la borsa fotografica, il computer e l'apparecchietto per il wi-fi mobile (non avevo uno smartphone). arrivato li parcheggio l'auto e do un occhiata, l'unico posto dove piazzarsi è in quello spiazzo li dove escono le auto... "CAZZO NO, c'è quello stronzo del Corriere, evvabbè: addio scoop!!"
Vado e lo saluto, ho una sola fotocamera e non so che obiettivo mettere, scelgo il 24-70, al limite se si affaccia al balcone si ritaglia.
Restiamo parecchio tempo in attesa fumando e guardando i balconi, arriva una fan che aveva avuto la dritta, l'esimio prof. Lombroso guardandola l'avrebbe etichettata subito come affetta da cretinismo, io - a differenza del padre della fisiognomica - l'ho anche sentita parlare e posso confermare la diagnosi.
Quando sento persone simili idolatrare un barzellettiere pregiudicato mi chiedo sempre se sia giusto il suffragio universale e se il concetto attuale di democrazia non abbia bisogno di una bel downgrade... a me non è che mi faccia schifo la democrazia, tutt'altro, ma non reputo giusto che il pensiero di un Carlo Rubbia debba avere lo stesso peso di una ritardata convinta che un ex appartenente alla P2 sia un grande statista liberale. A mio parere sarebbe da rispolverare l'idea di una repubblica governata dai filosofi... certo che se poi ci troviamo filosofi come Rocco Buttiglione o Diego Fusaro... mah, forse ci meritiamo solo un asteroide!!!
Alle 18 e qualcosa alzo per l'ennesima volta lo sguardo verso il balcone... eccolo è lui, vorrei mettere il tele ma non ho tempo, scatto a ripetizione e vaffanculo... ma chi è quello?? Un massaggiatore della spa??
L'idiota dietro di me urla "PRESIDENTE!!!", il Cavaliere saluta e rientra.



Rientriamo nei ranghi anche noi, sia io che quello del Corriere dobbiamo inviare le foto, ne ho scattate giusto una dozzina, due o tre quelle buone, avviso il mio capo che le giri all'ANSA e gli chiedo: "Ma chi cazzo è quello col pigiamino della struttura??" - "Boh"

Decido di aspettare un po' su quella panchina di fronte l'ingresso, sia mai che passi la Gelmini a salutare... intanto vedo che qualcuno porta a spasso Dudù, si avvicinano due persone, mmm... ho già capito...
"Buonasera, Carabinieri... può favorire i documenti per favore" - "Certamente eccoli qua" - "Se lei è residente a Brescia perchè è qui?" - "Appuntato, guardi io sono qui per lo stesso motivo per cui lei è qui: per lavoro, sono un fotografo" - "Va bene, ma ora non c'è nulla, buona serata!!"

Il giorno dopo vedo le mie foto su quasi tutti i giornali tranne il Corriere che infatti fanno cagare, persino il Giornale di Brescia che è il quotidiano locale concorrente a quello per cui lavoro io le ha pubblicate, scopro che l'uomo con l'accappatoio è tal Giovanni Toti, considerato il delfino di Berlusconi, non era ancora governatore della Liguria.

Alcuni giorni più tardi, di domenica, vado a cena dalla zia, lei è una fan di Fazio e in quel momento c'è Massimo Gramellini, detesto entrambi e non li cago ma per caso vedo... "CAZZO sta commentando una mia foto, THAT'S GREAT!!!"

Da queste foto ci ho guadagnato poco, un tempo col gossip un po' di soldini li facevi con queste stronzate, sia il trattamento economico che la tipologia di lavori che facevo mi mise addosso una gran tristezza e voglia di fare altro, quello che avvenne nei mesi successivi è un altra storia e il modo di merda con cui ho concluso il mio rapporto col fotogiornalismo e in particolare con certe persone è un altra e ne parlerò meglio prima o poi.

06 giugno 2023

Le due Ucraine - parte 1

24/04/2014 

Non è ancora spuntato il sole e siamo in direzione Luhansk: un altra di quelle città che aspira a diventare capitale di uno staterello fantoccio di Vladimiro Putìn.
Da qualche giorno io e Dima abbiamo la paranoia di essere spiati, so che ci facciamo i film ma rimane comunque una brutta sensazione, ogni volta che vedo una grossa macchina nera o incrocio lo sguardo particolarmente incazzato di qualcuno mi scattano i flash in testa, riesco a gestire la cosa, certo che però anche vivere in un ostello al pian terreno con altri morti di fame non è proprio un idea geniale.
Lunedì - mentre coi miei degni compari giravamo per Slovyansk - i separatisti hanno rapito Simon Ostrovsky e un altra giornalista: Irma Krat; sappiamo solo che sono vivi e che sono stati i separatisti a rapirli, non abbiamo altre info al momento.
Ieri Dima ci ha parlato di una piccola città a nord di Luhansk dove i cittadini si sono organizzati per fatti loro: hanno messo su dei checkpoint e cacciato un gruppetto di separatisti, è un aspetto del paese diverso da quello che ho visto fino ad ora e da quello che fanno vedere sui media, non ho proprio voglia di fossilizzarmi con le solite barricate e la triste realtà di Donetsk, sarà buona cosa andare. 
A Lugansk incontreremo un amico di Dima… Amico tanto per dire, i due manco si conoscono: Dima ha chiesto a un suo amico un contatto a Luhansk e questi gli ha dato il telefono di un suo un collega di università.



Al primo sguardo Luhansk ha un aspetto più vintage e sovietico rispetto a Donetsk, l’atmosfera è malinconica e plumbea, le ciminiere svettano lontano sullo sfondo, l’asfalto è crepato, il classico panorama che ti aspetteresti da una laboriosa città post sovietica.
Ci avviamo a piedi verso il centro, non molto distante dalla stazione: io, Dima, Paul e Olya sembriamo quattro strani gatti in giro per la città: chissà la gente cosa pensa quanto ci sente parlare “angliskij”; sento certe brutte energie negative che Donetsk se le sogna. 
Il capo dei separatisti è un tal Bolotov, i suoi uomini hanno già occupato e barricato alcuni edifici, da quanto ho capito qui i filorussi sono molto più bellicosi di quelli di Donetsk. 

Arriviamo alle barricate che circondano l’SBU, a contrasto di quanto sento trovo davanti l’ingresso un tizio in mimetica che sventola allegramente la bandiera coi colori di S. Giorgio su di un piedistallo di copertoni, al provetto e sorridente sbandieratore del palio di Siena gli si illuminano gli occhi quando vede la mia fotocamera, mi chiede di scattargli delle foto - «falle con l’effetto mosso» - «see, niente più?!» vorrei dirgli – faccio due scatti a sto poràccio e proseguiamo. 

qui le barricate ricordano

la torretta in legno fatta dagli amanti del bricolage
la torretta in legno fatta
dagli amanti del bricolage
la Grande Guerra: la strada di accesso è ristretta a imbuto e interrotta da spuntoni ricavati da grossi tondini per calcestruzzo, un enorme lenzuolo bianco sulla facciata messo li probabilmente per coprire ciò che va nascosto a occhi indiscreti, c’è persino una torre di avvistamento di legno grezzo. Ste robe a Donetsk e le sognano.
 Nei muri intorno la gente ha appiccicato dei manifesti pasquali con coniglietti e scritte “Cristo è risorto”, una grossa croce ortodossa al centro e un piccolo gazebo da fiera con stendardi della Madonna e orribili icone made in China funge da cappella.
 Poche le bandiere rosse e vessilli della CCCP rispetto a Donetsk ma sulla pensilina, sopra l’ingresso del palazzo, c’è un enorme striscione con la guardia rossa: uno Zio Sam bolscevico che punta l’indice chiedendoti: «ti sei iscritto come volontario?». 
Continuo a chiedermi come possa essere possibile questo sincretismo ortodosso/nazionalista/comunista, ai bei tempi i controrivoluzionari bianchi li avrebbero mandati in vacanza nel Kolyma, adda venì Baffone! Arriva una chiamata sul cellulare di Dima, usciamo da quella zona avvelenata che ci attende Artёm: uno spilugone occhialuto dalla schiena alquanto dritta e l’aspetto tantinello nerd, «ochen priatno tovarish!»
Costeggiamo per un po l’edificio a debita distanza assicurandoci di non avere “gente strana” vicino, già io con i miei tratti mediterranei non passo certo inosservato in terra cirillica.

«Questa per noi è la guerra degli uomini grigi contro quelli verdi […], li chiamiamo “omini verdi” perché
il lenzuolo bianco che copre le finestre
il lenzuolo bianco che copre le finestre

 in Crimea indossavano le mimetiche di quel colore. I loro capi sono tutti russi, non nel senso che parlano russo, nel senso che sono proprio russi, anzi i più importanti come Strelkov o Borodai fanno parte di un gruppo chiamato “il clan dei moscoviti”» - racconta Artёm che con un velocissimo cenno del capo indica una zona del palazzo «li ci sono gli uffici del KGB, nei sotterranei ci sono i prigionieri […], i russi hanno armi automatiche e fucili di precisione, dentro quel palazzo ci sono più armi che uomini.»
 Non so, come faccia a sapere tutte ste cose, non è che ci sta riempiendo di cazzate? Non che la cosa sia improbabile, per carità. 
Su un viale laterale un enorme statua di un uomo barbuto seduto e vestito all’ultima moda medievale troneggia sulla scalinata della biblioteca. Qualche centinaio di metri più in la il centro commerciale Rossija e il cinema Ukraina, ironia della sorte, vivono fianco a fianco, quasi attaccati l’un l’altro. 
«Ho un fratello che è un veterano dell’esercito russo, ha combattuto in Cecenia e un altro è parecchio filorusso. Un altro invece è un attivista del Maidan.» racconta Artem.
 Su un muro finalmente vedo un qualche segno che indichi la presenza di qualche banderovitzi in città, qualcuno ha disegnato la bandiera rossa e nera dell’UPA, l’esercito patriottico ucraino di Bandera «sei di Pravyj Sektor» chiedo - «No, sono un semplice volontario, qui in città non c’è Pravyj Sektor però ci sono molti ragazzi pronti a combattere per il paese, o almeno si stanno preparando, nel mio gruppo siamo circa 200 persone, studenti, lavoratori… la cosa comunque è nata tra noi hooligans» racconta il nostro cicerone – ora comincio un attimo a capire: lui ha un paio di familiari con giusti agganci tra i separatisti e non dovrebbe essere difficile reperire informazioni anche tra il mondo ultras, a questo punto non mi stupirei se venissi a scoprire che sia un capo ultrà tipo Diabolik. 

Continuiamo a fare un giro per le anonime strade di questa città alle 10 del mattino - «studio a Kharkiv, li il sentimento patriottico è molto radicato, appena sono scoppiate le prime manifestazioni filorusse e appena hanno occupato la Crimea abbiamo iniziato a muoverci, la Russia è a due passi, non ne verrà nulla di buono e ci stiamo preparando per combattere.» - salutiamo Artёm con una solida stretta di mano, fra un po’ dobbiamo muoverci per andare a Svatove, ci rifocilliamo al volo in un piccolo negozio che vende alimentari, pesce secco, birra e bevande varie più o meno alcoliche; mi accontento di un panino con prosciutto affumicato (almeno credo che lo sia), e delle ali di pollo fredde e gommose.
 Parliamo di cavolate tra noi aspettando la nostra marshrutka che partirà tra poco, con tutta questa gente intorno non è il posto migliore per parlare di invasione russa. 



Siamo arrivati a Svatove, tre ore per fare 150km e sfruttate per farmi un bel pisolino ridestato occasionalmente dagli scossoni dell’asfalto merdoso, dagli ammortizzatori scarichi e dai raggi di sole in piena faccia. Riesco a dormire ovunque, peccato solo che quando mi sveglio ho sempre il torcicollo.
 La città non ha quell’aspetto grigio e malinconico di Luhansk, il monumento sovietico agli eroi della Grande Guerra Patriottica ha perso la sua doratura ma è tenuta bene, il classico paese in cui la la gente si prende cura del bene comune e della propria storia, non una cicca o una carta per terra. 
Olya non scatta una sola foto, ho sempre pensato che le migliori storie e i migliori progetti fotografici su un qualsiasi luogo geografico li facciano gli stranieri, non perché siano più bravi, semplicemente perché sono in grado di incuriosirsi ancora davanti a un monumento, a un volto, un vestito o un negozietto, che quelli del luogo troverebbero banali. Io ho serie difficoltà a far qualcosa su Taranto proprio perché non troverei nulla di interessante nel volto di un Mimmo u Presidente o in una di quelle merdose ciminiere.
 L’altra notte Olya mi ha rimproverato che guardavo troppo le ragazze… ma vaglielo a spiegare lei che hanno una femminilità e una bellezza che non c’è dalle mie parti. Non che le italiane non siano belle ma sono molto diverse dalle slave, è come quando vidi a Brescia per la prima volta così tante belle ragazze africane coi culi che sfidano la forza di gravità… claro che le guardavo: sono belle, sono diverse dalle altre donne viste fino ad ora… e poi le ucraine non hanno quel muso triste come quella rumenaccia della mia ex, che dio la baci freddo.

Arriviamo con qualche minuto di anticipo al municipio, una struttura in prefabbricato color panna e rosso mattone, sulla pensilina c’è il simbolo della città: il sole del Donbass, il girasole, un ape e il nastro con l’anno di fondazione 1660. Molte città qui hanno una storia recente, in Italia, i centri abitati più recenti furono fondati nel medio evo. 
All’entrata non c’è nessun usciere, non vediamo nessuno, Dima sembra sapere dove andare, all’interno le mura sono di un giallo vomito. Dima bussa a una porta, arriva un signore sulla 50ina poco più con l’espressione a metà tra il paraculo e l’impiegato comunale, è Evgenij Ribalko sindaco di Svatove da una decina di anni, con la voce squillante e contenta ci invita in una sala riunioni e ci presenta un suo collaboratore, credo sia il suo vice sindaco - «Atkuda vj?» chiede Ribalko -

Ribalko mostra la sua maglietta dell'Italia
Ribalko mostra la maglietta dell'Italia

«Bielorussia, Ukraina, Italia e Francia» risponde il nostro caro barbabionda - «Ah… Italia!» E tutto sorridente apre il collo del maglione mostrando la maglietta dell’Italia. Mitico, mi scatta una vocina in testa che dice: «basta che non nomini Celen…» - «kak Celentano!» - ok lasciamo perdere caro ragazzo della via Gluck, piuttosto a sto punto sono curioso di sapere che cazzo è successo coi separatisti qui. 

«Quando sono iniziate le prime proteste filorusse nei dintorni ho cercato capire cosa stava succedendo e cosa fare, il capo dell’amministrazione distrettuale era sparito e io in quanto sindaco dovevo assumermi le mie responsabilità, dovevo capire la gente di Svatove da che parte stava e come si sarebbe comportata, quando sono stato eletto sindaco la prima volta, ormai più di dieci anni fa, avevo giurato di difendere gli interessi dei cittadini ma anche di esser fedele all’Ucraina. 
Con i consiglieri comunali abbiamo deciso di indire un incontro con la cittadinanza e la fedeltà a Kiev non è mai stata messa in discussione, certo ci sono degli elementi filorussi in città ma parliamo di elementi marginali. 
Dovevamo quindi capire cosa fare: a Lugansk hanno occupato l’SBU, è gente armata e non c’è un governo centrale a cui chiedere aiuto in questo momento, per prima cosa abbiamo costituito un gruppo Automaidan, persone che girano in auto col compito di perlustrare la città.
 La seconda cosa da fare è stata di organizzare la Samoborona: il gruppo di autodifesa, sono quindi andato al centro locale di reclutamento e c’erano solo 40 iscritti nelle liste dei volontari, ho chiamato a raccolta le persone iscritte nella lista ho spiegato loro la situazione ed ho fatto come facevano i cosacchi: ho disegnato un cerchio in terra e ho chiesto a chi fosse disposto a mobilitarsi di fare un passo dentro e sono entrati tutti.
 Abbiamo iniziato ad arruolare altre persone, abbiamo cominciato dai cacciatori perché detengono legalmente armi, e a preparare i piani di difesa, non è stato per nulla facile: dovevamo bloccare le strade di accesso, in particolare quella da Lugansk, dovevamo procurarci altre armi e munizioni, kit di pronto soccorso. non potevamo fidarci della polizia locale e dovevamo fare tutto nella massima discrezione, nel caso fosse stato scoperto qualche cosa dovevamo subito avere una giustificazione. 
Abbiamo sabotato i ripetitori dei canali tv filorussi e imparato basi di pronto soccorso. 
In tutto adesso siamo circa 400 volontari, in una città di 19mila persone, che in un modo o nell’altro si occupano dell’autodifesa, non tutti sono armati: chi si occupa delle ronde di guardia in città, chi in cucina, chi delle comunicazioni… 
impediamo il passaggio di mezzi diretti verso la Crimea. Alcuni giorni fa sono arrivati al checkpoint da Lugansk alcune auto con dei giovani che volevano entrare, indossavano delle mimetiche, le persone di guardia hanno detto loro di tornare da dove sono venuti, hanno insistito per un po, poi hanno visto che eravamo armati e facevamo sul serio ed hanno fatto dietrofront. 
Ritorneranno e la prossima volta non sarà così facile, saremo pronti ad accoglierli come si deve.
 Adesso ai checkpoint siamo affiancati dalla polizia stradale, loro si occupano dei controlli in entrata, sono anche armati ma sono in pochi, se non ci occupiamo noi di difendere il nostro territorio, la nostra patria, nessun altro può farlo, saremo anche dei provinciali ma non ci facciamo mettere i piedi in testa da nessuno.» - racconta il sindaco e ci invita a venir con loro a vedere il checkpoint, saliamo su dei mezzi e in pochi minuti siamo li.

Il checkpoint non è nulla di che: un largo nastro di asfalto, una piccola postazione di sacchi di sabbia, una
uno degli attivisti a difesa del checkpoint
sbarra per aprire e chiudere il varco e un container che funge da piccolo ufficietto della polizia. 
Non c’è molto da fare a questo checkpoint, i poliziotti parlottano tra loro, quello di guardia mi intima di non fotografarlo in faccia. 
L’atmosfera non ha niente a che vedere con la diffidenza e la fanaticheria che c’è tra i filorussi, non c’è nessuno a volto coperto, nemmeno gli sbirri, scatto una foto a un ragazzo sui 20 anni, non c’è nessun problema, arriva anche un vecchio trippone che vuole farsi la foto, forse è il padre, fa il segno di vittoria. Assurdo: proprio l’altro giorno mi hanno sequestrato la fotocamera e invece qui nessuno si fa problemi. 
In un angolino riparato da una staccionata e una tenda militare, un signore in mimetica prepara la kasha, una specie di porridge, dentro un grosso calderone.

A dirla tutta ste persone non mi sembrano proprio dei mastini: quasi tutti hanno una panza più grossa della mia, qualcuno potrebbe essere mio padre, mentre i giovani sono parecchio giovani e non mi sembrano particolarmente combattivi, magari di notte ci sta gente più cazzuta.
Accanto a un vecchio rimorchio militare arrugginito c’è un fucile calibro 12, il vecchietto mi mostra le grosse cartucce di sto bestione, non credo che come arma sia il massimo della precisione ma, se Hollywood mi ha insegnato qualcosa, è che quello è un cannone in grado di fare danni a un Terminator. 
I miei compari di avventura, compreso Paul, parlottano con il capo sbirro, nel frattempo entrano ed escono vecchie Lada anni ‘70, multivan con finestrini oscurati e un grosso autotreno che vengono fermati e controllati. 
Favorisco la kasha anche se non è proprio il mio piatto preferito, lo chef ha i tipici occhi azzurri degli slavi e lo sguardo di un bimbo. 
Lo spettacolo è finito, andiamo via e salgo nel furgone con Ribalko, il sindaco, tutto contento come un ragazzino che mostra il suo primo motorino, tira fuori il suo revolver cromato, chi cazzo sei: l’ispettore Callaghan? 

Tornati in paese ci muoviamo a piedi col nostro Clint Eastwood che ci mostra il suo bel villaggio dei Sims che… si ok, carino… ma se avessi passato la mia giovinezza qui me ne sarei scappato il prima possibile. 
Davanti una vetrata rotta Ribalko racconta - «L’altra notte un ubriacone si era messo a distruggere la vetrata, una persona che gli hanno chiesto perché lo stava facendo e lui: «io sono di Pravij Sektor» - «e cosa vuoi?» - «entrare in Russia» - Dima ci traduce, scoppiamo a ridere. 

Al museo di storia locale, ci attende il direttore Korolko, passiamo oltre due ore tra punte di frecce trovate in un campo di battaglia dove cosacchi e tatari si sono fronteggiati, resti di
Nestor Makhno e il comandante bolscevico Pavel Divenko
Nestor Makhno e il comandante bolscevico
Pavel Divenko
armi, una shabla cosacca, parla di Nestor Makho e dell’esercito insurrezionale che qui avevano combattuto contro i bolscevichi, c’è anche una famosa foto del rivoluzionario col colbacco insieme a un compagno. 
«Qui i cosacchi formarono un sich, abbiamo sempre combattuto contro i tatari, i russi, i bolscevichi, l’armata bianca e i nazisti; durante la guerra civile russa molti cittadini aderirono all’armata insurrezionale di Makhno.» 
Ho capito: qua la gente è parecchio combattiva e libertaria, la questione etnica non si pone nemmeno, qui tutti parlano russo anche se hanno cognomi ucraini e si sentono ucraini anche se hanno cognomi russi. 
La visita al museo prosegue tra manichini con uniformi dell’armata rossa, bandiere rosse del soviet locale, stelle rosse, ritratti di rivoluzionari in campo rosso… il direttore del museo è un logorroico da competizione, Ribalko gli fa cenno di stringere - «si, adesso finisco» risponde Korolko – e continua.. il pistolero sbuffa vistosamente e non è certo il solo a rompersi i coglioni qui dentro. 

Il logorroico direttore del museo termina il suo pippone dopo una ventina di minuti, ma solo perché il sindaco prende in mano la situazione e decide che ne abbiamo tutti abbastanza, Ribalko e i suoi ci portano al ristorante del sig. Borjilo, una meravigliosa tavola imbandita aspettava solo noi, un signore sulla settantina riconosce Paul - «Hey io ti ho visto in televisione, su Donbass TV» - il francesce arrossisce, i bicchierini vengono immediatamente riempiti di vodka, si aprano le danze, «BUDMO!», e manco il tempo di appoggiare il bicchierino sul tavolo che subito qualcuno si affretta a riempirlo. Riempio il piatto di patate, pomodori, salumi e formaggi, l’atmosfera quella di amiconi che non si vedono da molto tempo, ancora vodka, il bicchierino non rimane mai vuoto, sono curioso di vedere con l’alcool come se la caverà il mingherlino Paul. 
Riempiamo i nostri piatti con i pomodori, le patate e tutta quella roba che c’è sul tavolo, io però l’insalata russa (che qui si chiama insalata Oliver) non la tocco, mai sopportata.
 Arrivano subito due grosse pirofile piene di ottimo shashlik cotto ai carboni, tra un bicchierino di vodka e uno «Slava Ukraina!» il tempo vola, peccato solo che vorrei conoscere la lingua abbastanza per permettermi un minimo di dialogo con gli altri commensali.
 Arriva la grossa pirofila con le bistecche, le nostre forchette si affrettano a prendere la migliore fetta, sguardi di sfida e colpi veloci, mi ritrovo sul piatto la bistecchissima di Homer Simpson contro il camionista. 
La vodka scorre tanto ma non mi da alla testa, Olya oltre a essere l’unica donna, a parte la cameriera, è anche l’unica che non beve... o almeno non la vedo bere. Esco per prendere un po di aria e fumare una sigaretta nel terrazzo insieme a Dima, c’è quel signore che aveva visto Paul in tv, di me non si ricorda mai nessuno, meglio così, non saprei che cazzo dire - «Tu sei italiano vero?» mi chiede un anziano signore in russo con Dima che mi traduce - «Si» - «eh… pensa che io è stato grazie agli italiani che ho mangiato per la prima volta la cioccolata in vita mia» - «Davvero? Come mai?» - «Ero piccolino e c’era la guerra mio padre aveva incontrato dei soldati italiani in ritirata, avevano fame e mio padre ha catturato delle rane e le ha cucinate, loro per ricambiare ci hanno dato un pezzo di cioccolata».
 Mi sarei volentieri risparmiato questa storia alla De Amicis, però fa anche piacere… in fondo noi eravamo i fascisti, i loro nemici, oddio… noi almeno non abbiamo mai infranto il patto Ribbentrop-Molotov. 
Il piccolo fan del De Amicis continua - «La mia famiglia è russa, io sono nato in Russia e la mia famiglia vive li, io mi sono trasferito qui da che c’era l’URSS e anche dopo l’indipendenza nessuno ha mai badato al fatto che sono russo, ormai qui è Ucraina, è sempre stata Ucraina anche ai tempi del comunismo, ormai da tanti anni è la mia casa, proprio non capisco il motivo di questa guerra.» 

Olya e Ribalko non so dove siano finiti, una persona ci porta in auto in una specie di villa, all’entrata ci accoglie il sig. Igor Vasiliev, a sinistra c’è un grande salotto con un enorme tavolo di massello al centro e il samovar, in casa fa molto caldo, su un muro alla mia destra c’è un armadietto tipo quello che c’è in ostello, ci fanno cenno di spogliarci - «Oh, No!» esclama Dima sottovoce - non capisco, c’è forse una pornostar in vena di gangbang? Mi fanno anche cenno di togliermi collana, anello e orologio, il sig. Vasiliev arriva con degli asciugamani bianchi, dobbiamo metterci in costume adamitico e coprirci le pudenda con quegli asciugamani, sto per provare l’antica tradizione russa della banja: prima di butti addosso dell’acqua gelida, poi entri in una sauna a temperature infernali e quando il caldo è troppo esci e ti butti di nuovo l’acqua gelida, solo che poi sei talmente accaldato che l’acqua la senti ancor più gelida di prima. Paul secco secco con quell’asciugamano in vita e la faccia tutta rossa che si tiene le mani a proteggersi il pirulino, è proprio buffo, si vede proprio che non ha mai fatto la visita per la naja. 
È la prima volta che faccio una sauna in vita mia, devo dire che non è malaccio, con noi c’è un tizio tutto nudo che mostra cosino mignon... si depila pure, naaaa!!! 
Butto un po di acqua sulla pietra rovente alla mia destra mentre Dima parla con Pipino il Breve di politica e separatisti - «No, Kassimo, please...» - l’irsuto bielorusso non gradisce stare qui, aumentare l’umidità peggiora solo la situazione. 
La temperatura però è troppa, gnà faccio, vado a rinfrescarmi brrrr…. 
Rientro nella sala rovente, credo che cmq abbiamo già passato molto tempo li dentro, decido di provare a frustarmi con quel mazzo di betulla, che poi passa di mano a tutti gli altri li dentro. 
Dopo un ora in quell’infernetto siamo tutti fuori, la mia pelle ha perso quei brutti punti neri sparsi per il corpo e la pelle profuma di pelle, via quell‘odore di saponi chimici, stupendo, spero che finalmente adesso possiamo andar… ah no, ci offrono il tè alla russa con l’acqua scaldata col samovar, avrei voglia di una sigaretta, altro che il tè, dovrei uscire se voglio fumare, ma con i capelli bagnati e la temperatura fuori non mi pare un idea brillante.
 Mi viene passata anche una zuccheriera di porcellana con del miele così duro e compatto che pare una grossa caramella ambrosoli, è proprio difficile affondare il cucchiaino li dentro, qui lo magnano come nutella e lo usano anche al posto dello zucchero, ne basta poco più di una puntina, non ho mai amato il miele ma devo dire che è squisito, è molto diverso da quello che ho mangiato in Italia, questa è roba che hanno preso da un apicoltore, non è roba industriale e si sente. 
Fantastica l’ospitalità qui, amo troppo questa gente, però ora voglio buttarmi su un letto, sono stanco e domani dobbiamo rientrare a Donetsk, so già che dovrò alzarmi prima dell’alba e il pensiero non mi fa impazzire dalla gioia. Ci rivestiamo, i miei capelli sono ancora umidi, mi tiro su il cappuccio della felpa, saliamo su un auto che ci porta pochi metri più in la verso un hotel carino con le mura rivestite in legno, ricorda un po certi posti che ho visto quando vivevo in Trentino, salutiamo Vasiliev e una signora corpulenta in abito tradizionale ci accompagna alla stanza, ha una scollatura che… non ha due tette...è una centrale del latte, wow, meravigliose... finalmente un po di tette che qui gli dei son stati un tantinello avari nel distribuirle: REAL SVATOVE BOOBS! 
Mi lavo i denti passandomi il dito indice, non pensavo che avrei passato la notte fuori e non ho portato con me lo spazzolino, crollo sul letto e buona notte.

21 aprile 2023

Welcome to Hell

 

Slovyansk 21/04/2014

«Slovyansk, tri bilieti»
- la signora dall’altro lato del vetro ci lancia lo sguardo di chi si sta trattenendo dal dirci «ma perché siete così coglioni da andarci?». durante il viaggio miei due compari parlano, io dormo, non sono manco le 7 che mi sveglia l'orso bielorusso, voglio una flebo di caffè.
Non c’è nessuno in stazione, apparentemente sembra tutto ok.
Per i separatisti questa è la linea del Piave, poco tempo fa c’è stato l’assalto e la presa delle caserme e degli uffici, han preso carri armati, armi e munizioni, ci sono dei capi: Igor Strelkov, un ometto magrolino coi baffetti su cui non scommetteresti mille lire e Vyaceslav Ponomarev autonominatosi sindaco: un losco figuro con due inquietanti canini d’oro in bocca. Da qui arrivano notizie su notizie e non sappiamo un cazzo su cosa sia vero o falso, di certo ci sono persone sparite e morti ammazzati, come il sindaco (regolare) "arrestato" dai miliziani, altri ritrovati in un fosso con un buco in testa.
Ieri sera Dima ci ha parlato di rumors sulle aggressioni agli zingari, dubito che i media importanti siano interessati a questa vicenda, non fotte un cazzo a nessuno degli zingari, tranne quando fanno reati, chissà se a questi gli va di parlare, ho dei dubbi. Ieri sera a Russia Today un propagandista ha mostrato un biglietto da visita di Dmytro Jarosh “trovato” dove c’è stato lo scontro, p oggettivamente la prova che il comandante Jarosh voleva lasciarci la firma d’artista... ci sarebbe da ridere per questa buffonata se non fosse che sono crepate delle persone.


Il cielo di Slavyansk è grigio, «Ladies & gentlemen: Welcome to Hell!!» esclama il bielorusso, un tassista si rifuta di portarci in giro ma il suo collega accetta.

Un giovane miliziano tra le barricate dell'SBU
Un giovane miliziano tra le barricate dell'SBU

Barricate per strada, l’autista è costretto ad allungare tantissimo, sembra una specie di Ikea della guerriglia urbana. Non c’è nessuno in strada, seminascosta da un cespuglio la scritta: «L’amore salverà l’Ucraina!».
Il taxi ci lascia a debita distanza dall’SBU, l’edificio è circondato da barriere di sacchi di sabbia, avranno saccheggiato le spiagge della riviera romagnola, un carro armato punta il suo bel cannone verso l’ingresso, ci presentiamo alla guardia armata che chiama alla radio i suoi degni compari.
Un sorridente ragazzone alto e barbuto arriva e parla in inglese, è stato messo li per fare public relations: «Italian? My mom live in Rome: she’s badante. Hey mama don’t worry, I protect myself» - si alza il largo maglione alla Freddie Krueger mostrando il giubbotto antiproiettile, il ragazzo è eccitato.

Chiede i passaporti, sto un po cacato, gli do la carta di identità, dopo pochi minuti arriva un altro barbudos sui 50 anni, capelli bianchi e panza - «che cazzo è sta roba qui?», riferito al mio pezzo di carta, horosho: gli do il passaporto.
Possiamo entrare a patto che non fotografiamo le facce delle persone e il palazzo dell’SBU, il panzone è tal Evgenj Gorbik un professionista, si vede subito, ci recita il copione imparato a memoria per i giornalisti: «combattiamo contro Pravy Sektor e i nazisti di Kiev, il popolo ha conquistato il palazzo, le armi le abbiamo trovate nei nascondigli sovietici ecc...» - come se non lo sapessi che i nascondigli furono saccheggiati e svenduti per una cassa di vodka negli anni ‘90.
Mostra i carri armati con le bandiere russe e le scritte sprayate a stencil «Narodnoe Opolchenie Donbassa» (Esercito Popolare del Donbass) - «Con questi tanks arriveremo a conquistare L’Vov» al signorino piace fare lo sborone.
Faccio qualche scatto in giro mi sembra di fare foto stupide da turista di guerra.
Usciamo da quel posto del cazzo, Dima riferendosi al panzone dice: «Quel tipo è di Mosca.» - «Come lo sai?» - «Parla come un moscovita.»
Nella piazza del municipio l’imponente statua di Lenin col cappotto e le tesi di Aprile giganteggia davanti 

Il sig. Prokhorov

a noi, il palazzo è circondato da copertoni e sacchi di sabbia, suppongo che mr Smile sia li dentro.
Si avvicina un anziano in bici, il sig. Prokhorov da due giorni vuol sapere che fine ha fatto il figlio Oleg, tenente colonnello della polizia: sabato era in casa con la moglie e i figli, uomini armati sono entrati in casa e se lo sono portati via, piange… non sa nemmeno se il figlio è vivo o morto, un civile spuntato chissà dove gli consiglia di non parlare e andarsene.

Poche centinaia di metri troviamo un altra discarica di copertoni, legni, transenne, cartelli contro la “junta” e scudi della polizia a protezione dell’unico ingresso.
In un piccolo gazebo smontabile c’è un tavolo con dolci, tè e un mazzo di tulipani, una signora ci offre qualcosa, è pasquetta… prendo del caffè, sembra piscio ma sticazzi, ho bisogno di caffeina.
Dal piccolo ingresso laterale esce uno con un casco da sbirro, Dima chiede se è possibile entrare per intervistare un po di gente - «Net!» - facciamo presente che siamo stati al SBU ma la risposta non cambia, però fanno entrare due pseudo giornalisti di Russia Today.
Sono circa le 9, durante la passeggiata troviamo l’unico edificio su cui sventola ancora la bandiera giallo blu: la facoltà di pedagogia, strano che qualcuno non abbia provato a imbrattare la targa all’ingresso o rubare la bandiera per bruciarla.
La città sembra surreale: c’è chi passa la calce a bordo dei marciapiedi, una bambina tiene la carrozzina del fratellino (o sorellina, chi lo sa?), è incredibile il contrasto tra la normalità della vita che va avanti e la città sotto controllo di un esercito straniero. Una babushka vende fiori su un marciapiede, sorride: «dobry dienh» - ricambiamo il saluto cercando di ottenere qualche info «io non mi interesso di politica, è roba da uomini, chiedete a mio marito» - indica un gruppo di anziani uno più alcolizzato dell'altro.
Continuiamo la nostra passeggiata, da un portone esce una signora con una maglia rossa, Dima: «scusi: dove è il quartiere degli zingari?» – ci guarda sospettosa «perchè vi interessa?» - «siamo giornalisti: un italiano, un francese... io sono bielorusso» - ci pensa su… «Il quartiere è oltre quel ponte, ma non c’è rimasto nessuno.» - «Cosa è successo?» - «Titushki forse… non so di preciso... sono fuggiti e nessuno sa dove siano andati.» - «C’erano stati problemi con loro prima che arrivassero i miliziani?» - «Macché: fino a due settimane fa vivevamo tutti tranquilli: russi, ucraini, zingari, ebrei… poi improvvisamente sono apparsi questi qui, non sappiamo chi sono o da dove vengano… e ora non si capisce più niente!» - «I soldati non sono di qua?» - «Quelli sono apparsi da un giorno all’altro, gente mai vista prima.»


Il fumo da una ciminiera indica che le fabbriche sono ancora attive; pescatori della domenica e passeggiatori... sembra una domenica qualsiasi. 
Accanto al ponte una vecchia porta di legno usata come cartello indica la presenza di mine oltre il bordo della strada (sarà vero?), una barricata rallenta l’ingresso delle auto, un miliziano alle nostre spalle corre verso di noi gridando, si avvicina puntandoci il ferro: una doppietta a canne mozze - «VY KUDA??» - mi volto, senza accorgermene altri tre personaggi in borghese spuntati chissà dove ci circondano, chiamano qualcuno al cellulare e in pochi minuti arriva un taxi senza targa, il nostro nuovo amico ci “invita calorosamente” a entrare - «fuck!» esclama Dima - non riesco a vedere la faccia dell’autista - «What happen?» chiedo al bielorusso - «I don’t know!». Veniamo portati a qualche centinaio di metri dal ponte, vicino uno spiazzo, arriva un tizio che non è un Ciccio Formaggio come “l’amico” che ci ha portato in limousine: ha il kalashikov, un giubbotto antiproiettile di quelli seri e due spalle grandi quanto un armadio, si rivolge direttamente a me: «APPARAT», ostento sicurezza che non ho, sono parecchio nervoso, ma non ho fatto nulla che potesse dar loro problemi, gli mostro le foto col fare di chi non deve nascondere nulla… ci chiede anche i passaporti, prende la fotocamera e se ne va… ho il nodo in gola, non ho paura tanto di quanto sta succedendo; ho paura di non vedere più la fotocamera, quell’obiettivo l’ho comprato col mio primo stipendio. 
L’autista ci fa segno di uscire, riparte… siamo in una città sotto il controllo di bande armate, senza documenti, senza fotocamera e senza sapere in che zona stiamo, dove cazzo possiamo scappare? Almeno abbiamo il telefonino. Dima manda degli sms, io mando un messaggio a Cecilia, monsier Dupont sta li a guardare con la faccia da ebete. 
Cecilia mi risponde: «Chi sei?» - «Cosimo» - mi richiama e le spiego la situazione - «faccio subito qualche chiamata, non aver paura».
Ricevo una chiamata dall’ambasciata a Kiev, nuovamente spiego la situazione, mi chiede anche se parlo il russo - «con me ho una persona che mi fa da traduttore.» - «adesso vedo di fare qualcosa.»

Quanto tempo è passato? mezz’ora, un ora, due… boh… quella bestia di miliziano si avvicina a noi - «karashò, karashò!» esclama al cellulare, ci fa segno di seguirlo, sembra di stare a una scampagnata di bifolchi del Tennesee malati di armi: un gazebo della birra Sarmat, donne che sistemano su un tavolo mazzi di papaveri, agguerriti ventenni in tute camo e volto coperto, uno di questi si diletta a scattare foto con la MIA fotocamera, vorrei dirgli: «quella zoccola sifilitica che ti ha dato origine! Cosa penseresti se io mettessi le mani addosso alla tua donna?» - il problema è che il giovinotto è armato e io no, un buon motivo per lasciar perdere - «Hey ciao amico!» - esclama in italiano un giovane in borghese dietro di me - «Do svidanja tovarish» - rispondo sorridendo… mi restituiscono la macchina, sembra che il peggio sia passato, il cuore rallenta, l’armadio ci restituisce i passaporti... inizio a sciogliermi finalmente.
Non so cosa abbia fatto cambiare loro atteggiamento: sarà che sono Italiano come l’allenatore della nazionale russa e come Al Bano? Morirò col dubbio. Una signora mi invita a sedermi e a favorire del tè - «grazie ma non mi…» - no, niente, mi tocca favorire, mi siedo accanto a un altro armadio con due gambe del quale vedo solo che ha gli occhi celesti… mi fa una strana impressione e mi osserva… che dici Cosimo: ci avranno messo il polonio?
A questo punto con la mia faccia di bronzo chiedo se posso scattare loro delle foto… sono esibizionisti, il click gli piace, si sentano come le modelle, se fosse possibile si toglierebbero quei cosi in faccia e mi chiederebbero di mandare loro la foto su VKontakte.

Altri due giovani miliziani

Il ragazzo con la roba da moto tiene il suo AK a canna corta in braccio come una bimba col Cicciobello, nessun miliziano indossa alcuna patch o simbolo di riconoscimento ad eccezione del nastro di S. Giorgio, sembrano la versione pezzente degli omini verdi in Crimea poco tempo fa.
«Di dove siete voi?» chiede Dima - «Donbass» risponde l’armadio, ok: abbiamo capito che questi sono quei personaggi usciti chissà dove di cui la signora parlava prima.
Dima gli chiede anche se ci possono dare un contatto per entrare nell'SBU, scopriamo che non è possibile e che ogni blok post ha le sue regole, come se non ci fosse una regia unica e siano tutti indipendenti l'uno dall'altro.
Ho un idea: possiamo farci delle foto ricordo insieme? Se dovessimo avere altri casini prossimamente possiamo giocarci il jolly. E ovviamente questi esibizionisti deliranti accettano, tiro fuori la compattina e scatto ai miei compari, quanto a me, ci pensa il francese.
Beh è arrivato il momento di dire «Do svidanja».
Appena essere letteralmente passati dall’altra parte della barricata mi telefona Lucia Goracci, le ha dato il mio numero Cecilia, racconto quanto successo - «Tutto a posto ora, spero di incontrarti e ringraziarti di persona».
Camminiamo alla cazzo di cane senza sapere che direzione prendere, decidiamo di tornare a Donetsk: la situazione qui è assurda, può scoppiare una sparatoria da un momento all’altro, noi non abbiamo protezioni e nel caso rischiamo pure di rimanere bloccati qui; casomai tanto possiamo sempre tornare fra qualche giorno.
Avviso Cecilia che il peggio è passato e che abbiamo intenzione di tornare a Donetsk, è contenta di poter esser stata utile, mi chiede di chiamarla quando siamo arrivati, ha la classica voce di una madre che si preoccupa ma non vuole farlo capire, la avviserò sicuramente.

Dobbiamo attraversare il ponte, anche questo lato è chiuso da una barricata, all'ingresso in uno spiazzo un capellone barbudos con la mimetica, dall’aspetto sembra una versione militare dello zio fricchettone che fuma le canne - «Privet» - conosciamo Leonid.
Ci spiega che lui è russo, si sente russo e vuole essere considerato a tutti gli effetti un russo e si sente discriminato per questo - «questo non accadeva in URSS» (e grazie al cazzo, fossi ebreo vorrei vederti) -

Il mitico passaporto sovietico di Leonid e la foto
col mullet da albanese sbarcato dal barcone nel 91

tira fuori due passaporti: quello sovietico e quello ucraino - «guardate qui: in quello sovietico c’è scritto la mia nazionalità, vedete che non c’è in quello ucraino?» - vorrei tanto chiedergli se questa stronzata sia una motivazione valida per far scoppiare una guerra, ma sono calamitato dalla foto di Leonid a 16 anni col mullet alla Andrè Agassi, il taglio di capelli simbolo della tamarragine di quegli anni deliranti e trashosi.Leonid da buon miliziano non è di qua, viene da Amvrosiivka: un… boh, forse un villaggio, a circa 4 ore di auto da Slavyansk, più vicino a Rostov che a Donetsk, chissà perché non sono sorpreso della cosa, fino ad ora tutti i miliziani che abbiamo incontrato sono tutti di fuori.
Gli si illuminano gli occhi mentre parla della figlia e della nipotina - «Ma tu che diresti a tua figlia se facesse quello che ora stai facendo tu?» chiedo - «Ah lei è come me, quando si mette in testa qualcosa non c’è nulla che possa farle cambiare idea».
 Il nostro tricologico amico è una specie di appartenente a un qualche ordine di S. Giorgio o qualcosa di simile, il santo/soldato venerato dai russi più ferocemente ortodossi, tira fuori dalla sua Lada rossa e lercia made in CCCP una specie di drappo da parata rosso col santo che trafigge il drago. Non capisco cosa centri questo fanatismo religioso con il separatismo filorusso, tuttavia salutiamo anche il nostro fan di S. Giorgio e andiamo via.

A pochi metri di fronte alla stazione ci passa accanto un uomo sui 25 anni, è un rom - «Hey… zanes romanès?» - si gira di scatto, ha gli occhi terrorizzati, alzo le mani per fargli capire che non ho cattive intenzioni - «romanì, da?» - arrivano anche i miei compari - «vogliamo solo parlare» - dice Dima in russo «sei rom, vero» - «si» - «senti scusa, ma che è successo alla vostra comunità? So che siete dovuti scappare, è vero?» - «non c’è rimasto nessuno, io sono tornato a prendere alcune cose da casa ma sto andando via» - «cosa vi è successo?» - «persone ubriache sono venute dove abitiamo, hanno cominciato a urlare, hanno riempito di botte alcuni di noi e poi hanno sparato sulle nostre case, hanno detto che dovevamo andare via o ci avrebbero ammazzato tutti, siamo scappati.» - «Te la senti di lasciare un intervista? Non diremo il tuo nome.» - «devo andare è pericoloso parlare qui, dammi il tuo numero che ti richiamo io» - Dima gli scrive il numero su un pezzo di carta, sappiamo benissimo però che non chiamerà mai.

In stazione Dima si è perso a raccontare al telefono quanto accaduto… porkoddio Dima: hanno annunciato il treno, dobbiamo andare… è completamente immerso nel suo racconto, il treno giustamente non ci aspetta e riparte; Dima ti spaccherei la faccia se solo potessi.
Prendiamo un taxi per Kramatorsk, da li prenderemo una marshrutka.
Dal finestrino del taxi vedo barricate, scritte sui muri, un edificio con i sacchi di sabbia alle finestre… scommetto che stiamo facendo il giro dell’oca, il taxi si ferma improvvisamente: siamo a un checkpoint, un miliziano mascherato guarda dentro - «KTO VY? PASSPORTI!» - eccoli qua. Abbasso il vetro del finestrino sperando di capire dove cazzo sto: un grosso capannone industriale e una maxi scritta Zeus Ceramiche, ok facile da ricordare, ci restituiscono i passaporti, anche questa è andata.

Kramatorsk, la marshrutka sta per partire tra poco, prendo posto vicino al finestrino, come tutti i vecchi minibus anche questo ha dei sedili scomodi in finta pelle e le tendine ai finestrini dal gusto tipicamente est europeo.
Ricevo una telefonata da un giornalista de La Stampa, mi chiede dell’accaduto, scopro che l’Euromaidan Press Center ci aveva dato per rapiti, parlo raccontando il fatto… il minibus frena, sospendo un attimo la telefonata, siamo a un altro checkpoint, un miliziano entra, tempo di un occhiata e se ne va, il bus riparte, continuo la chiacchierata.
Visto che probabilmente la mia vicenda sarà di dominio pubblico è il caso di chiamare Nicola e dirglielo, meglio che lo sappia da me direttamente che chissà dove: «Nicò, vedi che sto in Ucraina,  è successo che bla bla bla… mi raccomando, che la cosa rimanga tra noi e non dire niente a nessuno, ok?” - «si certo non ti preoccupare.» - «no, figurati, so benissimo che ti sai fare i cazzi tuoi» rispondo con scazzata ironia a mio cugino.

Siamo finalmente arrivati alla stazione bus, siamo affamati e stanchi, prendiamo un taxi per l’hotel Ramada, Dima ha un intervista con dei giornalisti georgiani, figuriamoci se si perdevano una roba simile proprio loro che hanno fatto non so quante guerre contro i separatisti; avviso Cecilia che sono arrivato in città «ti va di fare un intervista?» - «Certo» - «Però non posso muovermi che non sto bene, devi raggiungermi tu, sono all’hotel Ramada» - «perfetto, tanto ci devo andare comunque, dammi il tempo di arrivare.»

Il Ramada è l’hotel più fico di tutti a Donetsk, in questi giorni tutti quelli BBC, AFP o Al Jazeera stanno li, un freelance non potrebbe mai permettersi una roba simile.
Le allegre comari incontrano i georgiani davanti l’ingresso, io avviso Cecilia che sto arrivando, chiedo a Dima di aspettarmi nel caso finissero prima ed entro nella grossa porta girevole rivestita di acciaio a specchio e raggiungo Cecilia in stanza, ha qualche decimo di febbre, nulla di preoccupante.
L’intervista è finita, avrò impiegato mezz’ora, scendo giù per tornare dai miei due amici di avventura… non ci sono, chiamo Dima e scopro che sono già in ostello… vaffanculo, ti avevo detto che sarei sceso dopo poco… cazzo, non ho manco i soldi per il taxi… ok, trovo un taxi, l’autista sembra anche parlare inglese - «Prospekt Myra 3, but before i need to go to bancomat» - in pochi minuti sono davanti il Red Cat, cazzo, ti avevo detto di passare da un bancomat prima! Gli lascio in auto il mio zainetto, citofono e mi faccio prestare da Dima i soldi per il taxi.

Buttato sul divano dell’ostello, ho fame… esco con Dima, passo dal bancomat del Credit Agricole e andiamo al supermarket h24 li vicino, al piano di sopra c’è tutto il reparto alcolici prendiamo della vodka, al banco frigo ci sono delle strane cose dentro dei barattoli di vetro è pesce secco, la gente qui usa mangiarlo quando beve birra, Dima compra del pollo affumicato in confezione sottovuoto, io un po di schifezze varie che sembrano la cosa più decente da mangiare.

Tornato in ostello mi chiama un giornalista del Brescia Oggi, avevo detto a Filippo che nel caso poteva dare il mio numero, rilascio un intervista pure a loro, mezz’ora al telefono, ma ora basta devo ancora scaricare le foto, editarle e mandarle in agenzia, voglio solo farmi una doccia e dormire.

25 febbraio 2023

Cristo è risorto... ma non per noi!

 
Donetsk 20/04/2014
 
una foto della messa notturna
La messa notturna
Avrò dormito tre o quattro ore al massimo, sono ancora stanco, stanotte ho fatto delle belle foto la messa
di pasqua è molto fotogenica: luci calde e basse di candela, talvolta caravaggesche, non era esattamente la tipologia di foto per cui son venuto, ma sono soddisfatto, spero l’agenzia riesca a venderne qualcuna, sarebbe un peccato farle marcire in un hard disc, c’era una ragazza del coro… non era un icona di bellezza classica ma mi attirava, era molto elegante nella sua semplicità, con quel velo rosso in testa… non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso, Olya si è lamentata di questo con me x questo, ma che ci posso fare? Non era mica una di quelle quattro sfittinzie conosciute al parco vicino le barricate, peccato che non son riuscito a farle una foto da un angolazione buona, ma non potevo certo muovermi in mezzo al coro.
Mark quando russa sembra la fanfara dei bersaglieri, esco dal cesso coi capelli spettinati e due occhiaie da paura, Dima in cucina si prepara un tazzone di caffè: «Hello Dima» - «Hi, how are you?» - «Stoned!». Qui fortunatamente non manca una confezione di caffè macinato.
 
Io e Dima andiamo a fumare nell’androne, non abbiamo programmi, tanto vale che andiamo a fare un
salto alle barricate in mancanza di meglio.
lo zar Nicola II ritratto come un santo ortodosso
lo zar Nicola II ritratto
come un santo
È tarda mattina e attorno le barricate c’è non c’è molta gente, evidentemente stanno smaltendo la vodka di stanotte o stanno a cucinare pranzi luculliani, un paio di anziani in mimetica sul marciapiede fuori le barricate stanno accanto dei pali a righe rosse e verdi - «Dima, ma quei pali a che cazzo servono?» - «Sono i confini della repubblica di Donetsk».    

Solita perquisa di rito per entrare nelle barricate e casse che sparano in loop musica di propaganda con le canzoni unplugged di Zhanna Bichevskaja come «Mij Russkje», non avevo notato ieri che sulla pensilina di cemento ci fosse anche uno striscione con lo zar Nicola II ritratto come un santo delle icone con la scritta «Rus Svjataja» (Santa Russia).

Vicino alla rampa per i disabili delle persone offrono bevande e dolci, in particolare la paskha, una specie di panettoncino paquale. Un paio di ragazzini da primo liceo con mimetica e passamontagna giocano a fare i duri.
il bielorusso ha conosciuto un giovane tedesco con la barbetta biondiccia, si chiama (o si fa chiamare) Billy, racconta che ha viaggiato per il mondo e segue le vicende ucraine da tempo, è stato a Maidan, ci scambiamo i contatti, mi fa una buona impressione.     

Galina mentre prega (o almeno penso lo faccia)
Galina mentre prega (o almeno penso lo faccia)
Poco più un la rivedo Galina coi i suoi denti gialli e i suoi vestiti neri e consumati «Happy Easter» non apprezza molto gli auguri pasquali: è incazzata nera con gli ucraini: a Slavyansk c’è stato un conflitto a fuoco ed è morto un separatista. Entriamo nel secondo anello, su uno di quei camion messi a protezione delle vetrate qualcuno ha messo un banner plastificato c’è la foto di un tal Ruben Avanesian col figlio sulle spalle, credo sia il tizio morto a Slavyansk, era proprio necessario inserirci anche il figlio? Galina
comincia a pregare davanti questa “icona pagana” circondata da fiori di plastica e filo spinato, le faccio due scatti quando sento una mano poco amichevole sopra la mia spalla dopo pochi click, non piaccio a un separatista con la mimetica, la dama dai denti gialli interviene in mio favore, tutto risolto ma ho ben capito che l’atmosfera non è come sembrava, manco per il cazzo.
Chiedo alla dama di nero vestita: «Ma voi cosa vorreste adesso: entrare nella Russia, diventare un paese indipendente o cosa?» – Galina non sa rispondere, balbetta che per lei l’importante è andar via dall’Ucraina perchè ci sono i nazisti di Pravy Sektor che perseguitano i russi. Non c’è possibilità di mediazione per lei - «What do you think about Putin?» chiedo - le si aprono gli occhi e con aria estasiata risponde «Putin is the best president of the world!».
L'indigena di Donetsk racconta che suo figlio studia in una scuola russa qui a Donetsk, ergo: persone che affermano di essere perseguitate per la loro origine etnica, la cui lingua è stata "proibita" e che si sono ricordati di essere russi quasi dopo 25 anni dopo la caduta dell'URSS, non hanno alcun problema a mandare i figli in scuole in cui usano la loro madrelingua.
Una troupe tedesca intervista un ragazzo con un cappellino di lana tagliato per farne un balaklava, faccio alcuni scatti di merda, un altro ragazzino gioca col balaklava e porta sulle spalle una bandiera imperiale.
Sta macedonia di neozaristi, nostalgici comunisti, fanatici ortodossi e putiniani è totalmente surreale ed assurda.
Il ragazzo intervistato dai tedeschi, ha uno scudo col triziub, inizia a gridare lo butta per terra saltandoci sopra a favor di telecamere per uno spettacolo da circo Barnum.

Qualcuno urla, un viavai di gente alla mia sinistra, mi fiondo anche io ma un mastino nero mi agita la mazza da baseball, non vede l’ora di menare, alzo le mani, oggi è giornata che qualcuno me le vuol dare, alle spalle del mastino vedo un paio di poliziotti che vengono allontanati dalla massa, qualcuno urla: «FASCISTI» e «BANDERA», chiedo a Galina cosa è successo «è arrivato Pravyy Sektor e li abbiamo cacciati», c’hanno la fissa con Pravyj Sektor, io però ho visto solo due poliziotti.
Il posto comincia a riempirsi, arrivano molti vecchi tra cui un prete panzone che mi schizza con un pennello l’acqua santa ed entra, sul palco qualcuno prende il microfono, sono le 15:30, io e Dima ne abbiamo piene le palle di questi scoppiati e ce ne andiamo. I camion con i padelloni satellitari dei big televisivi sono sotto al monumento di Taras Shevchenko, nel sottopassaggio di viale Artema una scritta sprayata di rosso: «Morte a Bandera», ordino una bistecca al Marakesh.

Dima racconta che lavora per un giornale liberale «Novyj Chas» (tempo nuovo) ed è stato in carcere per la sua attività giornalistica ha due figli: Andrej e Jan.

Preferiamo evitare di parlare della situazione che c’è in città… non si sa mai e poi perché rovinarci la digestione?

Torniamo in ostello, devo editare un botto di foto, vorrei anche recuperare qualche ora di sonno, gli altri hanno tutti dormito più di me e dell’orso bielorusso, Jacob e Mark escono a farsi una birra, qui due sembrano yankee in cerca di brividi… ma vabbè, forse in quanto europei abbiamo un attitudine diversa.
«Ma perché secondo te quella ti ha detto che Putin è il miglior presidente del mondo?» Mi chiede il bielorusso - «Perchè? Perchè è russa, semplice!» - «Kassimo, hai notato che qui tutti parlano di Pravyj Sektor come di una minaccia ma non abbiamo mai trovato nulla che faccia pensare che ci sia? Come è possibile che in città, in questo momento non abbiamo visto nemmeno una semplice scritta su un muro?» - rispondo con spallucce e una faccia da ebete. Finisco il lavoro al computer e vado a farmi un goccio in cucina dove incontro Paul, ci raggiunge Dima: «Hey guyz, vi andrebbe di andre domani a Slavyansk?» - «Certo!» rispondo senza pensarci un attimo - «c’è qualche novità da quelle parti?» - «C’è stata la sparatoria ieri, adesso mi sono giunti dei rumors che dicono che hanno assaltato le case di alcuni zingari.» - «Io ci sto» rispondo - «ok, anche io» risponde il francese - «Allora vediamo di riposare, domani ne avremo di bisogno, good night!»

06 febbraio 2023

Freakshow

l'entrata delle barricate davanti al palazzo del governo
l'entrata delle barricate davanti al palazzo del governo

Donetsk 19/04/2014

È mattina, esco con Olya e Paul senza nessun progetto e nessuna idea; siamo già un po’ depressi perché abbiamo cominciato a sbattere la testa sulle difficoltà: io e Paul non conosciamo la lingua, nessuno qui parla inglese e anche Olya - che è di madrelingua russa - è frustrata perchè appena qui la gente vede una fotocamera sembra che l'uomo bianco voglia rubare l’anima con quell'attrezzo.

Olya è nata e cresciuta a Odessa, credevo fosse cresciuta nel paese di monsier Hollande, era già stata a Kiev durante Euromaidan dove però non ha avuto tutte le difficoltà a fotografare che ha avuto qui.
L’altro invece è gallico al 100%, ha appena finito gli studi ed è venuto qui, vorrebbe trasferirsi a Mosca e fare il corrispondente, direi però che più che dalla cultura russa lui sia attratto dalla gnocca cirillica.
E io? Ho fatto per un po il paparazzo a Milano, non avevo trovato di meglio, ho mollato perché non me ne fotteva un cazzo, devi investire un mucchio di soldi ed è un ambiente di merda. Ora lavoricchio per un giornale locale, faccio qualche Ansa, ma il mio lavoro e le mie aspettative professionali sono proprio svilite.

Giriamo per un bel po' e finiamo anche a diversi km fuori dal centro città, a mezzanotte è pasqua, propongo di cercare una una chiesa dove possiamo fotografare la messa. mi fa strano che abbiano accettato la mia proposta, di solito la gente non mi caga di striscioArriviamo davanti l'ingresso di una fonderia costruita da possenti braccia bolsceviche vecchia ed efficiente quanto l’Ilva di Taranto, la nostra amica si dirige alla portineria e dopo un po' di tempo arriva un prete. Il barbuto, dopo aver parlato con Olya ci da dei foglietti di carta dove dobbiamo scrivere il nostro nome, sono i permessi per fotografare - «Spasibo bolshoj, do vstreche».
«Olya ma che ci fa un prete in quella fabbrica? Tiene messa dentro la fonderia?» - «No, dentro c’è la chiesa di S. Ignazio di Mariupol.»

Andiamo a fare un salto alle barricate. Da quel recinto di pneumatici e legno c'è un mucchio di gente che entra ed esce. Chiedo a un fotografo come fare per entrare, mi suggerisce di andare direttamente, mi controllano in borsa ed entro «hey, so easy?!».

una babushka col nastro di san giorgio
una babushka col nastro di
san giorgio
Ci sono due anelli di barricate: quello esterno dentro al quale vi è un gruppo eterogeneo di persone: minatori, giovani, babushke... questo anello circonda l’intero edificio e l’intero edificio è ENORME.
L’anello interno invece è posto davanti alle scale d’accesso del palazzo c’è un palco e gente assai più agguerrita. Sicuro c'è una “cabina di regia”, tutta sta roba non è opera di improvvisati barricaderos.
Una donna vestita di nero mi si avvicina parlandomi in russo - «Sorry, speak English?» - «Yeah, I speak English very well, I'm Galina» - lei è un insegnante di inglese, mi dice di essere una volontaria insieme al marito, mi porta dentro il secondo anello, l’atmosfera è più tesa: per terra delle molotov, un camion è stato fatto salire sulla scalinata d'accesso per blindare le vetrate laterali, come cazzo abbiano fatto a schiaffarlo li lo sanno solo gli dei.
Galina ha una meravigliosa dentatura color nicotina, le chiedo come è cominciato tutto questo e come è possibile un organizzazione simile - «È iniziato con delle riunioni in piazza, siamo tutti volontari e ognuno da una mano» - ok mi sta pigliando per il culo.
I miei compari mi avvisano che stan tornando in ostello.


il pit bull alcolizzato
il pit bull alcolizzato,
dietro di lui il drappo dei Berkut
La dama dai denti marroni mi presenta una specie di pitbull alcolizzato con il revolver bene in mostra ela divisa da Berkut, i celerini che spararono a Euromaidan. L’ubriacone ha il revolver ben in mostra, chiedo se sia un civile o un militare, Galina traduce - «sono un semplice volontario» - quei due paiono il gatto e la volpe e mi stanno prendendo per il culo.
Un vecchio cosacco in divisa ha una patch con la croce ortodossa e un teschio, mi spiega che rappresenta il teschio di Adamo che significa rinascita, altri due scatti, saluto e vado via.
Fuori da quel circo Barnum un gruppo di ragazzini gioca a calcio con un pallone coi colori ucraini.

Le mimose sono in fiore e il parco li accanto ne è pieno, un gruppo di belle devushke si stan facendo le foto in pose da wannabe model circondate dai fiori, vado a fare il cretino.
Le ragazze parlano inglese, hanno una buona istruzione, faccio domande di cazzo su quello che sta accadendo, fingono di non interessarsi della questione e di non avere paura, dico loro che vorrei intervistarle per capire cosa pensano le persona qua, la fotografa esclama lapidaria: «Hey, you’re Italian, we know what you want from us!». Fanculo: prima ero timido e non combinavo un cacchio, ora che sono più spigliato…
Non mi dà fastidio per il no al mio maldestro tentativo di rimorchio, quanto il fatto che quando ho chiesto come mandare loro le foto e sempre la fotografa:
«Don’t worry, we’ll contact you».

Ok, sembro un po un malato di fica, ci sta, ma perchè prendermi per il culo così?? vado a riposare all'ostello và che stanotte non dormirò.